La strada per il successo del brand di Boston è costellata da dubbi e criticità ma ci sono tutte le premesse per fare bene.

Adidas ha annunciato la cessione ad Authentic Brands Group per una cifra che potrebbe superare di poco i 2 miliardi di euro: il prezzo, secondo il Wall Street Journal, è significativamente più alto di quanto stimato da molti media e osservatori, ma comunque ben più basso di quanto pagato dal Trifoglio nel 2006 per acquisire il marchio angloamericano, circa 3,8 miliardi di dollari.

Authentic Brands Group è un’azienda americana la cui maggioranza è in mano all’ubiquo fondo BlackRock, possiede e gestisce licenze di 50 marchi di intrattenimento e lifestyle, e genera un fatturato annuale che supera i 10 miliardi di dollari. Tra i marchi, pezzi storici dell’abbigliamento Made in USA come Brooks Brothers, skate brand come Vision Streetwear, ma anche i nomi di Marilyn Monroe e Elvis Presley…

Tra gli azionisti di ABG c’è Shaquille O’Neal, che pare aver giocato un ruolo importante in questa acquisizione. Non c’è bisogno di ricordare che Shaq ha una lunga storia che lo lega a Reebok fin dal 1992, quando firmò un accordo pluriennale con il marchio del valore di 15 milioni di dollari, e cominciò a lanciare le sue sneakers, dalle Shaq Attaq in giù.

Fin qui, il business, che come abbiamo ormai capito non è sempre e solo questione di soldi. Quello che più ci preme ora è capire quale sarà il futuro di uno dei brand più amati del mondo sneakers, finalmente libero dall’abbraccio soffocante di adidas. Ricordiamoci che Reebok era diventato il marchio sportivo numero uno negli Stati Uniti tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta: non solo Shaq, ma anche il contratto a vita con Allen Iverson siglato nel 2001, che prevede 800.000 dollari all’anno per sempre, più 32 milioni che saranno accessibili solo nel 2030, quando l’ormai ex-star dell’NBA compirà 55 anni.

Il declino nel decennio successivo è stato così inevitabile. Già nel 2016 parlavamo di come le vendite per Reebok fossero stagnanti ormai da tempo, ben lontane dagli obbiettivi di crescita fissati da adidas, nonostante alcuni investimenti mirati a legare il marchio ad artisti e influencer di livello internazionale, come Alicia Keys, Swizz Beatz e soprattutto Kendrick Lamar. Tristemente, vittima principale di questa situazione negativa era stato proprio il modello più iconico del marchio, le Pump, rilanciate in grande stile anche con interessanti progetti collaborativi nel 2014, anno del venticinquesimo. Sneakers come Pump Omni Lite, Court Victory Pump e Pump Running Dual rimanevano in quegli anni largamente invendute sugli scaffali.

Nel lustro successivo le cose sono andate meglio dal punto di vista del business: l’azienda è tornata alla redditività nel 2018-2019, e nonostante lo stop dovuto al coronavirus pare che possa continuare il percorso positivo intrapreso prima della pandemia. Tuttavia, la rilevanza culturale e comunicativa di Reebok è rimasta al
palo. Alcuni dicono che dipenda dalla mancanza di una direzione chiara: si tratta di un marchio sportivo, fashion,
o puramente fitness? In realtà, si tratta di un falso problema: oggi non esiste più una divisione netta tra quei mondi, ed è sbagliato ragionare in questi termini.

Senza dubbio Reebok ha le carte in regola per offrire al mercato un prodotto che sia allo stesso tempo estremamente performante, all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e pieno di stile.