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Ci sono cose su cui è meglio non scherzare, anche nel piccolo mondo delle sneakers: i remake sono una di queste. Per definizione, si tratta di riproduzioni di modelli già visti, che per diversi motivi vengono riportati sul mercato: così si scopre che alcune sneakers di scarso successo del passato erano semplicemente troppo avanti per la loro epoca, e solo oggi riescono a incontrare il gusto del pubblico; oppure che i consumatori hanno poca voglia di cambiamento, dipende dal punto di vista. In ogni caso, i remake sono per prima cosa pane per i denti degli appassionati e dei nostalgici, per chi ricorda un particolare momento della sua vita vissuto insieme a quelle scarpe, per chi un tempo le desiderava e ora può averle. Le nuove generazioni vengono dopo: la cosa più importante, nel produrre un remake, è non deludere chi ha avuto la possibilità di vivere e amare i modelli originali, nel passato.

All’interno della redazione di Sneakers – lo ammettiamo – i nostalgici abbondano. Anche perché la qualità delle sneakers moderne è spesso oggettivamente imparagonabile a quella di un tempo, ehm…
Sia come sia, la nostra sensibilità quando si parla di remake è piuttosto alta. Per fortuna, nel corso degli ultimi anni i grandi brand del mondo sneakers sembrano aver preso la cosa piuttosto seriamente, e abbiamo visto diversi remake davvero ben eseguiti: New Balance e Reebok, ad esempio, ci hanno dato notevoli soddisfazioni. Ma c’è anche chi sembra non voler proprio seguire la strada giusta.

È il caso di Nike, che dal 2000 in poi ha forse sfruttato più di ogni altro marchio la retro-mania imperante, sfornando però molti remake a dir poco inguardabili. L’elenco è lungo, ma abbiamo scelto alcuni esempi che ci hanno fatto particolarmente male.

The Vandal

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La storia inizia nel 2002 con un modello storico come le Nike Vandal: alla notizia che sarebbe stato prodotto un remake di quelle scarpe amatissime, i collezionisti avevano drizzato le orecchie. Immaginate la delusione, quando arrivarono sugli scaffali modelli costruiti con nylon di scarsa qualità invece che con quello speciale, lucentissimo, usato nell’originale per riprodurre l’effetto delle tute spaziali usate dagli astronauti NASA. Delusione al primo sguardo, si potrebbe dire, divenuta ancor più cocente quando molti notarono che la suola assomigliava più a quella delle Dunk che a quella delle Vandal OG.

Nike Vandal remake

The Air Jordan II

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Nel 2004 è arrivato il turno delle Air Jordan II: vero, dal 2000 in poi abbiamo visto diversi pessimi remake Jordan, ma abbiamo scelto le Air Jordan II perché quelle originali, prodotte in Italia (!) nella seconda metà degli anni Ottanta, erano un esempio di qualità costruttiva e dei materiali (sul design, invece, il dibattito è ancora aperto oggi). I remake avevano una forma completamente sballata, e una composizione dell’intersuola che eliminava completamente l’uso del poliuretano: qualcuno potrà anche dire che così sono più resistenti all’usura, ma la realtà è che si tratta di scarpe completamene diverse dalle originali. Niente di male, per carità. Ma allora meglio chiamarle “New Air Jordan II”, o qualcosa del genere…

Jordan II remake

The Air Stab

nike air stab 2ogIl 2005 è stato un annus horribilis per gli appassionati del running, con il ritorno di due modelli simbolo dei rispettivi decenni: le Air Stab del 1989 e le Spiridon del 1997. Nel caso delle Stab, ad esempio, lo Swoosh ci aveva allettato con la prospettiva di rilanciare il modello grazie a una collaborazione con gli appassionati inglesi di FootPatrol, una scelta che prometteva grande cura realizzativa. E invece ecco un paio di sneakers da running dalla silhouette tutt’altro che sfuggente: più che veloci sembravano inamovibili, piantate nel terreno. Con le Spiridon del 2005, poi, Nike raggiunse un ineguagliato livello di tozz-runner… Meglio non parlarne neanche. Piuttosto, proseguiamo il viaggio in questa galleria degli orrori.

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The Oregon Waffle

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Al 2006 risale l’idea di riprodurre uno dei modelli più antichi della storia Nike, le mitiche Oregon Waffle da cui – più o meno – tutto ebbe inizio. Bill Bowerman, creatore dell’originale Waffle Sole, fosse stato vivo avrebbe buttato direttamente nella spazzatura quelle scarpe del 2006, costruite mettendo insieme un’accozzaglia di materiali (nylon e suede) davvero scadenti, e con una forma a dir poco imbarazzante.

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The Air Tech Challenge II

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Ma il momento più imbarazzante è senza dubbio il più recente: riguarda le Nike Air Tech Challenge II, tornate sugli scaffali nel 2014 a ventiquattro anni di distanza dalla prima volta che Andre Agassi le indossò nella colorazione “Hot Lava” su campi da tennis. Cosa c’è di sbagliato in questo remake? Limitiamoci agli elementi più evidenti: colore spento invece di quello brillante dell’originale, materiali di scarsa qualità (la pelle della tomaia sul toebox si segnava sin dai primi minuti di uso), niente mix di EVA e poliuretano per l’intersuola.

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E dunque rimane una domanda: quali sono i motivi di una tale mancanza di rispetto nei confronti della propria storia? Ovviamente solo uno, quello economico: la riproduzione di modelli del passato è un lavoro lungo e complesso, visto che rispetto a trent’anni fa sono cambiati tempi, luoghi e modi della produzione, per l’azienda di Beaverton. Meglio cavarsela cercando di andarci vicino, per ingannare l’occhio meno attento. Eppure a uno sguardo più approfondito la differenza è evidente. E la realtà dei fatti è che, in questi ultimi anni, è come se la casa americana avesse messo in circolazione falsi dei suoi stessi prodotti.

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